Fed e Bce alzano i tassi per contrastare l’inflazione

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Le banche centrali continuano il loro lavoro di contenimento dell’inflazione con la limatura dei tassi. Da inizio anno a perdere copiosamente in borsa sono però le Big Tech

La Bce alza i tassi dello 0,75%, lo fa come apri strada per altri interventi. Scrive il Sole 24 Ore:

«Dobbiamo fare quello che dobbiamo fare. Una banca centrale ha il mandato della stabilità dei prezzi e deve perseguirlo usando tutti i mezzi». Così la presidente Christine Lagarde ha confermato la determinazione della Bce a centrare il target e riportare «tempestivamente» l’inflazione al 2% sul medio termine, spiegando la decisione del Consiglio direttivo di aumentare i tassi per la seconda volta «sensibilmente» dello 0,75%. «A dicembre valuteremo i principi per ridurre il portafoglio dei titoli».

Tuttavia la scelta delle parole nelle decisioni di politica monetaria, l’enfasi e il tono della conferenza stampa di qualche giorno fa hanno fatto emergere una Bce lievemente “dovish” (colomba), o meglio, meno falco delle precedenti riunioni, e questo l’hanno capito i mercati e gli analisti. La frase chiave si trova all’inizio delle decisioni di politica monetaria, quando la Bce indica di aver «compiuto progressi considerevoli nell’abbandono dell’orientamento accomodante della politica monetaria». La prospettiva resta comunque quella di «ulteriori aumenti dei tassi», con entità e tempistica dei rialzi decise, ha ribadito Lagarde, «di riunione in riunione» e sulla base dei dati.

Meta crolla in borsa. A Wall Street il titolo di Meta ha faticato a reggere la soglia dei 100 dollari per azione, collezionando un sell-off pesantissimo, fra il 20 e il 25%. Nella gloriosa storia di Meta, per ritrovare le azioni a questo livello è necessario tornare indietro al 2016. Un crollo senza paracadute che ha spinto la capitalizzazione di mercato ben al di sotto dei 300 miliardi, collocando la società di Mark Zuckerberg addirittura fuori dalla top 20 fra le aziende più capitalizzate al mondo. Il crollo di Meta è imputabile essenzialmente a tre fattori.

Il primo è di ordine macro-economico, e riguarda l’intero universo Big Te-ch. Un anno fa Facebook cambiava nome in Meta: da allora il valore di Borsa è sceso da 900 a 300 miliardi, l’arrivo della crisi e del mercato orso, l’inflazione, i venti di recessione, l’instabilità geopolitica: sono tutti elementi che hanno fatto malissimo alla volatilità dei titoli tecnologici. Poi c’è il Metaverso. La scommessa all-in di Mark Zuckerberg su questa innovazione, per ora, è persa.

Il terzo trimestre del 2022 ha confermato la fase delicata che stanno attraversando colossi di BigTech. Ci racconta questa fase delicata il Corriere della Sera.

«È stato un momento difficile per il mercato pubblicitario» ha sintetizzato Sundar Pichai, amministratore delegato di Google e della sua casa madre Alphabet, ugualmente investita dal momento negativo. I ricavi hanno visto un rialzo del 6%, a 69,1 miliardi, il tasso di crescita più lento dal 2013, fatta eccezione per una breve contrazione a inizio pandemia, e al di sotto delle attese. Per la prima volta Youtube ha visto scendere le sue entrate legate alla pubblicità, del 2%, a 7,1 miliardi. Microsoft, invece, ha superato le attese con utili e ricavi, ma non le ha centrate con il segmento cloud, che ha generato ricavi per 20,33 miliardi, in rialzo del 20% ma sotto i 20,36 miliardi attesi. 

Segno meno per i ricavi dalle vendite di licenze Windows ai produttori di dispositivi (-15% anno su anno, il risultato peggiore dal 2015 ) a causa del rallentamento del mercato dei Pc. Ieri sera Apple ha perso fino al 5% nelle contrattazioni after hours a Wall Street con ricavi in aumento dell’8,1% a 90,15 miliardi e sopra le attese, ma crescite inferiori alle previsioni per le vendite di iPhone (+9,7% a a 42,63 miliardi). Amazon è arrivata a perdere il 20%, sempre nelle contrattazioni after hours, con ricavi in calo del 15% a 127,1 miliardi , sotto le attese.


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